archivio Orioles

riccardo orioles <riccardoorioles@libero.it>
tanto per abbaiare
2 febbraio 2004 n. 216
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Ancora senza computer. Dovrei comprare un Apple nuovo, ma mi trovo
momentaneamente a corto di fondi. E va bene: vuol dire che comprero'
direttamente *la* Apple, che e' piu' facile. Dice che con una
quindicina di miliardi di euri me la danno. Io cento euri ce li ho
gia', per cui mi resta solo da trovare i rimanenti quattordici miliardi
novecentonovantanove milioni novecentonovantamila e novecento. Qui
sotto al bar Sport ci sono tre pensionati che sicuramente vorranno
partecipare all'affare. Poi c'e' la maestra Bisazzi, che aspetta la
liquidazione da un anno e che da qualche parte se la dovra' pure
investire. Poi c'e' Padalino dell'emporio giu' in piazza, il ragionier
Merenda, Tannini che e' capofficina alla Metallurgica, il Fantozzi,
Cipputi... Insomma, i soldi ci sono. Convincerli a tirarli fuori? Una
cosa da niente. Per prima cosa, mi faccio una bella carta intestata:
Financing Agency O. & O., Investing Management And Gaboling, Capitale
Sociale Cdt 150 milioni interamente versati (Cdt vuol dire "Conchiglie
di Tonga", ma questo lo scriviamo in piccolo). Poi ritaglio una bella
foto del sultano di Brunei (l'uomo piu' ricco del mondo, lo sapevate?)
da Gente Viaggi, la incollo su un foglio di carta e sul foglio scrivo a
macchina: "Sultanato di Brunei - Certificato di credito - Dollari 15
Miliardi - Pagabili a vista al portatore". Poi ci vuole la firma del
sultano naturalmente - ecco la firma e infine, per ogni buon conto,
mettiamo anche un bel "Visto il Governatore della Banca di Brunei,
firmato Carli". Bello, eh? Questo glielo sbattiamo in faccia al primo
che chiede se siamo adeguatamente coperti. C'e' altro? Non mi sembra.
Ora dobbiamo semplicemente comprarci una bella cravatta da manager,
studiarci un'espressione finanziariamente autorevole allo specchio e
andare in giro a raccogliere i denari. Giovedi' ci quotiamo in borsa,
venerdi' acquisiamo la Apple, sabato apriamo un bel conticino alle
Cayman (non si sa mai) e lunedi' siamo gia' cavalieri del lavoro.
Per quanto possa sembrare buffo, le cose sono andate esattamente cosi'.
Io mi auguro vivamente che in questo momento in Italia siano all'opera
organizzazioni segrete e abilissime che, corrompendo banche e politici,
perseguano un cinico piano di destabilizzazione dell'economia
nazionale. Si sono comprati il ministro dell'economia, il governatore
della Banca d'Italia, i direttori dei giornali, tutte le principali
banche e anche gran parte dei commercialisti. Sono geni del male,
machiavelli della finanza al cui confronto Sindona o Marcinkus, o
persino Geronzi, sono dei dilettanti. Invece, disgraziatamente, non e'
cosi'. Le persone perbene, nel sistema italiano, sono moltissime e i
lestofanti organizzati relativamente pochi. Quei pochi tuttavia sono
gli unici ad avere un quoziente intellettivo superiore a ottanta. Tutti
gli altri sono fra il Q.I. 25 e il Q.I. 80, e quando non sono occupati
a fare grande politica, gran giornalismo e grande finanza sono di
solito a Forcella a comprare videoregistratori.
Un signore ha preso lo scanner, ha scannerato un titolo di credito Bank
Of America, ci ha aggiunto mezza dozzina di zeri, ha acceso la
stampante ed e' immediatamente diventato Mr Tanzi. Il ministro
dell'economia era impegnato a giocare col pongo. La Banca d'Italia,
quando ha saputo la storia, ha ammonito severamente le vecchiette: "Eh,
dovete stare attente a quel che comprate, c'e' tanti imbroglioni in
giro". Poi ha aperto la scatola del videoregistratore che s'era appena
comprato per uso personale e dentro c'erano trenta milioni di carta
Tanzi. "Colpa vostra - dice il governo - che vi fermate alla prima
bancarella che trovate". "Poffarbacco - fa l'opposizione - Vuoi vedere
che forse non tutti gli imprenditori sono onesti?". Scoop dei
giornalisti: gli italiani sono piu' poveri di prima e qua e la' se ne
segnala addirittura qualcuno con le pezze al culo. Chi l'avrebbe mai
detto.
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L'economia va male. L'econosua invece va benissimo.
* * *
Bossi difende i giudici di Banche Pulite. Fossi in loro toccherei
ferro. Anche quelli di Mani Pulite una volta erano i beniamini di
Bossi: sono bastate un paio di poltrone alla Lega per farli diventare
tutti communisti da imbavagliare.
* * *
Al solito, vogliono portare l'inchiesta via da Milano. La prima volta
(Piazza Fontana, il cui processo fini'... a Catanzaro) fu piu' di
trent'anni fa.
* * *
Neologismi. Quello che *non* hanno inventato stavolta: Bancopoli.
* * *
Le quotazioni di oggi. Milano, Parmalat a meno 14,3.
* * *
Bond. "My name is Bond, Fazio Bond".
* * *
Solo dopo Fiat, Cirio e Parmalat, solo con un'inflazione al
chissa'-quanto-per-cento, e solo nell'imminenza di una campagna
elettorale, un esponente della sinistra ufficiale (Fassino) si azzarda
finalmente a proporre di tassare delle transazioni finanziarie (e solo
quelle nei paradisi fiscali). E' cinque anni che questa idea - di un
economista liberale: Tobin tax - e' al centro delle proposte dei
no-global, che pero' non sono degli economisti credibili ma degli
estremisti da manganellare.
* * *
Considerazione finale. Se questo e' riuscita a fare Parmalat, che cosa
avra' fatto mai Cosa Nostra?
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Giornalismo. "Chi minaccia il giornalismo?" si chiede drammaticamente
il Corriere. Risposta: i giornalisti, naturalmente. Avidi di scoop,
"protagonisti", astiosi verso i governi, e' ora - suggerisce Gianni
Riotta - che si diano una regolata. Siccome Riotta e' un giornalista
molto democratico la regolata suggerita consiste, se non abbiamo capito
male, in una qualche forma d'autocensura.
Se al posto di Riotta ci fosse stato Bondi - o se i giornalisti fossero
una categoria altrettanto indipendente quanto i magistrati - e'
probabile che la "regolata" sarebbe arrivata sotto forma di vero e
proprio bavaglio giuridico sulla categoria. Ma ancora siamo al
dibattito, grazie a Dio, e ancora la separazione delle carriere (ad
esempio fra reporters e writers) non e' stata proposta. Noi giornalisti
siamo "vanitosi, superficiali e interessati" (cito Riotta) ma non, come
i giudici, irrecuperabili comunisti. Suppongo che dunque al dibattito
abbiamo diritto. D'Avanzo, su Repubblica, risponde che signori miei il
giornalismo e' giornalismo. Non e' granche' originale come tesi, ma
insomma, visto che si sta discutendo se due piu' due faccia sei,
quindici o centoventisei persino sostenere che due piu' due fa quattro
puo' essere una risposta coraggiosa.
Il dibattito e' nato da faccende britanniche (il Giornalismo in Italia
e' sempre inglese) e piu' precisamente dalla smentita inflitta alla Bbc
da un Grande Saggio. In Italia, quando parliamo di Saggi (o di
authority o di esperti neutrali o roba del genere) ci mettiamo a ridere
fragorosamente: sappiamo infatti, per esperienza che risale agli
etruschi, che nelle male parate si prende un aruspice, lo si proclama
d'autorita' al di sopra delle parti e si comunica che l'aumento alla
plebe non si puo' dare perche' l'aruspice - che e' al di sopra delle
parti - ritiene gli dei contrari al provvedimento. Da noi non c'e' mai
stato un "esperto" al di sopra delle parti, e dopo duemila anni di
reucci, di granduchi, di papi, di classi dirigenti che arrancano per
fare in tempo a imbarcarsi sul provvisorio carro del prossimo
(provvisorio) regime, ormai questo lo sanno anche i bambini. In
Inghilterra invece fino a un paio di generazioni fa c'e' stata una
classe dirigente e un'aristocrazia: che poteva essere whig o tory, e lo
era con faziosita' e con durezza, ma che traeva l'autogiustificazione
(e l'orgoglio) essenzialmente dall'essere se stessa. Un lord non poteva
mentire per salvare un governo, perche' considerava Mylord Se Stesso
infinitamente piu' importante di qualsiasi governo.
Le cose, in Inghilterra, naturalmente sono assai cambiate. L'ex regina
ormai e' semplicemente il piu' grande proprietario immobiliare del
paese, Blair e' napoletano e lord Hutton - l'arbiter del caso
Kelly-Gilligan - e' un rispettabile membro del Circolo Canottieri de
Roma (magari avra' il monocolo, per fare il lord inglese: ma
imprechera' in romanesco, come Previti). Di inglesi, in tutta la
storia, ci sono semplicemente i dirigenti Bbc che, di fronte alla buffa
sentenza, si sono dimessi (come quel generale romano che preferi'
perdere la battaglia piuttosto che non obbedire agli aruspici) e il
giornalista Gilligan che oltre alle vendette di Blair adesso si deve
ingoiare anche le ramanzine di Riotta. Noi italiani, ancora sotto la
suggestione dell'antico fair play Britannico morto da un pezzo,
crediamo (o facciamo finta di credere) che il caso Bbc-Blair sia stato
una cosa onesta e seria. Gl'inglesi, che hanno a che fare con
l'Inghilterra vera e non con quella di Nicolo' Carosio, invece hanno
sgamato subito la truffa e, nei sondaggi, si sono dichiarati in massa
favorevoli all'onesta e professionale Bbc e contrari all'evidente
pastetta fra lord Hutton e Blair.
* * *
Per le ragioni che esponevamo l'altra volta (non ho computer mio, dopo
venticinque anni di mestiere) non posso partecipare molto al dibattito,
perche' i miei tempi tecnici sono molto limitati. Inoltre io sono un
dibattitore piuttosto rozzo, e quando - per esempio - sento parlare di
Giornalismo non mi viene in mente Fleet Street ma via Etnea. In via
Etnea, a Catania, i quotidiani esposti sono praticamente uno, il "La
Sicilia" locale, dell'unico editore siciliano, Ciancio; gli altri
bisogna chiederli e, se chiedete "Repubblica", vi accorgete che manca
la cronaca siciliana in quanto l'accordo con Ciancio prevede la
non-concorrenza.
Va bene, me l'avete sentito gia' dire. Difatti, e' da quattro anni che
lo vado scrivendo. Un paio d'anni fa un lettore settentrionale, colpito
dalla notizia, decise di scrivere a un famoso giornalista siciliano -
Riotta - per sapere come stava la faccenda e cosa ci si potesse fare.
Ho ritrovato la lettera di quel lettore: <Hai scritto che "nel centro
di Catania tutt'e cinque le edicole espongono un solo quotidiano, La
Sicilia dell'editore Ciancio". Ho girato il tuo pezzo a Gianni Riotta:
"Caro Riotta - gli ho scritto - ma questo e' il suo amico Ciancio, di
cui lei ha parlato su Specchio a proposito di sicilitudine?" Ed ecco
cosa mi ha risposto Riotta: "Caro amico, non conosco la situazione che
descrive ma certo sono per la vendita di tutti i giornali sempre e
comunque, anche a Catania. Lo diro' ai Ciancio. Un caro saluto,
Riotta">. Poche settimane fa, una famosa giornalista di Repubblica e'
andata a Catania per partecipare un dibattito; il pubblico presente le
ha chiesto a gran voce come mai Repubblica, a Catania, fosse cosi'
d'accordo con Ciancio. Ma il fatto non e' mai uscito su Repubblica e
non credo che uscira' in futuro.
* * *
Ecco: scusate se ho parlato de "La Sicilia" invece che dello
"Spectator"; ammetto di avere abbassato il tono del dibattito. A
Catania, il preside della Facolta' di Scienze Politiche (un certo
Vecchio, eletto quasi all'unanimita') ha proposto senz'altro la laurea
ad honorem al suddetto Ciancio; i cui redattori, oltre agli stipendi
aziendali, possono contare su laute consulenze del Comune, della
Facolta' di Scienze della Comunicazione e di quant'altro. La mia
sensazione e' che, sotto il profilo dell'evoluzione del giornalismo,
bisognerebbe studiare Catania molto piu' che Londra; e che i prossimi
Stati Generali dell'informazione (a cui non sono stato invitato) la
prossima volta si potrebbero piu' utilmente tenere non a Roma o a
Versailles ma a Catania o a Palermo.
Se avessi tempo e computer, mi piacerebbe parlare un poco dell'altro
giornalismo, quello realmente "inglese", che pure in questo paese
s'affaccio' un mattino: la Voce della Campania, a Napoli, e Societa'
Civile a Milano, e I Siciliani. "Giornalismo d'inchiesta", per dirla
col collega D'Avanzo, il vecchio caro e banale "e' la stampa,
bellezza". Ma tempo e computer non ne ho, per cui mi limito solo a
farne i nomi. Che e' gia' qualcosa, visto che tranne la Catena di quei
giornali d'inchiesta e liberi ormai non ha voglia di parlare piu'
nessuno.
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L'Infedele. Tema: l'Europa. Dibbattono Francesco Cossiga e Toni Negri.
Dirige Gad Lerner. Non manca il filosofo Marramao.
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Prudenza. Una lapide accoglie il visitatore all'ingresso di Palazzo dei
Chierici in piazza Duomo a Catania. Contiene i nomi del sindaco Bianco
(che l'ha fatta mettere), del musicista Bellini (orgoglio dei catanesi)
e del "siciliano semplice e coraggioso" a cui la lapide stessa e'
dedicata. Ma chi e' questo siciliano? Non si sa. Entrando nel palazzo,
salendo al primo piano e guardando attentamente le pareti, si scopre
una targhetta d'ottone col nome del celebrato: Libero Grassi. Ma non
facevano prima a scolpirlo, col musicista e il politico, sulla lapide?
E se la targhetta prima o poi si perde? Come faremo a sapere che Libero
Grassi fu ucciso perche' lottava contro la maf... (beh, la parola
completa, sull'esempio del comune di Catania, forse e' meglio non
scriverla. Magari ve la spedisco dopo, in una mail a parte).
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Old economy. L'agora' e' una cosa diversa dal bazar. L'agora' ha un
versante politico e "ricreativo". Questo versante si riversa
sull'economia in varie forme, come circolazione di beni ma piu' ancora
di stili di vita e idee. Nel bazar non si puo' "sprecare" nulla, cioe'
non si possono fare investimenti collettivi a lungo termine. Societa'
pre-civile (re e mercanti protetti), basata sui pochi. Nell'agora' si
puo' "perdere tempo", cioe' costruire nuove idee. Societa' cittadina,
basata sull'uno e sui molti. Nel bazar si tratta hardware. Nell'agora'
si tratta software.
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Governi. Secondo la dottrina classica a un governo, per essere
riconosciuto come tale, occorrono tre requisiti: il territorio, la
popolazione e l'effettivita'. Questa dottrina fu elaborata dalla
diplomazia britannica nel Settecento, prescindeva da ogni valutazione
morale (per riconoscimento s'intendeva semplicemente la presa d'atto
che un dato governo esisteva) e serviva semplicemente a catalogare in
maniera realistica le varie fonti di potere. E' diventata senso comune,
e noi oggi associamo il concetto di territorio geografico a quello di
soggetto politico internazionale. Nel mondo antico non era esattamente
cosi'. L'impero romano, ad esempio, per la buona parte della sua durata
non fu affatto un impero, ma un insieme di soggetti teoricamente molto
differenti. L'Egitto, ad esempio, era proprieta' privata
dell'imperatore, che lo amministrava tramite una specie di suo
consigliere delegato (come se la Sardegna venisse gestita direttamente
da Felice Confalonieri e appartenesse a Mediaset). Nell'ambito della
citta' di Roma, i principali poteri dell'imperatore derivavano
essenzialmente dal suo status di tribuno della plebe (come se
Berlusconi fosse "anche" segretario generale della Cgil).
E anche in politica internazionale, c'erano soggetti diversissimi, non
tutti rispondenti a tutt'e tre i requisiti. Alcuni stati mancavano
quasi completamente di popolazione e territorio, eppure nessuno metteva
in discussione il loro essere soggetti di relazioni. L'isola di Rodi,
ad esempio, su alcune questioni trattava alla pari con Roma e il
diritto della navigazione era molto piu' rodiota che romano. Alcune
citta'-stato indipendenti avevano poche centinaia di abitanti eppure
erano alleate a pieno titolo di Roma. Quest'ultima inviava regolari
ambasciatori presso i regni-pirati dell'Adriatico o dell'Egeo, la cui
unica attivita' consisteva nel depredare il traffico marittimo al largo
delle loro coste. Molti secoli piu' tardi, i principati magrebini come
Tunisi, Algeri o Salo' (che vivevano di attivita' analoghe) avranno i
consolati delle grandi potenze europee, pronti a trattare secondo i
casi rappresaglie militari e riscatto di schiavi.
Nel nostro mondo, il concetto di governo e' stato sempre associato -
dal congresso di Vienna in poi - ai tre requisiti di cui dicevamo. Un
governo e' una cosa che governa una popolazione, che risiede su un
territorio, visibile a occhio nudo sulla carta geografica. Tutti i
poteri del pianeta coincidono, con trascurabili eccezioni, con dei
governi e la politica internazionale e' fatta esclusivamente dai
governi stessi.
Questa concezione e' entrata in crisi di fatto verso la fine degli anni
Settanta. In quel periodo alcuni soggetti internazionali
non-governativi hanno raggiunto un livello d'accumulazione di risorse
tale, da conseguire una sorta d'autocoscienza, e da cominciare a vivere
di vita propria. Nelle aree di confine dell'Occidente, la politica di
alcune multinazionali (il termine e' entrato in uso piu' o meno allora)
ha cominciato ad essere abbastanza indipendente da quella dei
rispettivi governi. In Giappone, il governo legale ha cominciato ad
essere percepito come una struttura di servizio del governo di fatto,
consistente nelle grandi corporation verticali. Ma il fenomeno piu'
interessante si e' verificato in Italia: una grande struttura
transnazionale come Cosa Nostra, dotata di leggi interne e di
strutture, con obiettivi non solo non coincidenti ma addirittura
opposti a quelli dello stato ospitante, a un certo punto ha deciso di
fare un salto di qualita' e di "agire da stato", in tutto e per tutto.
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Iraq. Gli sciiti, che sono antidemocratici e selvaggi, chiedono libere
elezioni. Gli americani, che sono democratici e civili, dicono di no.
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Brasile. In rivolta circa tredicimila indios Guarajani nello stato di
Roraima. Rifiutano l'istituzione di una riserva.
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Cronaca. Ragusa. Assolto Carlo Ruta che in due libri (Cono d'ombra e
Politica e mafia negli Iblei) aveva accusato "il ceto dirigente
vittoriese di essere responsabile del dilagare dell'abusivismo
edilizio, eretto a metodo di governo" nonche' di "inadeguatezza nel
contrastare la mafia".

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Fronte Internazionalista per la Liberazione del Tapiro wrote:
< "Anarkici. Di anarchici insurrezionalisti ne ho visti...". Mmm...
Prima o poi ti vergognerai di cio' che hai scritto. Merlino era un
cazzaro, non un anarchico. Bertoli era un uomo confuso, ma che fosse un
uomo dei servizi e' una mezza bufala, visto che si fece anni di galera.
Sui cosiddetti black block forse dovresti documentarti meglio. E'
facile vestirsi di nero e dire "sono un blaccblocche". Troppo facile,
talmente facile che lo hanno fatto anche appuntati e guardie scelte, ma
non e' una cosa nuova. Tra i cosiddetti "anarchici insurrezionalisti"
ci sarebbe anche quel Massimo Leonardi, cantante punk hardcore, che ha
cacciato da un corteo un caramba travestito e per tale motivo e'
detenuto. Che poi ci siano e ci siano sempre state "eterodirezioni",
concordiamo e sottoscriviamo. Ma attenti sempre a chi si butta addosso
la croce >
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ing.foti wrote:
< Da quando Berlusconi si e' messo a fare politica attiva 543 sono
state le ispezioni della finanza nelle sue aziende, zero ispezioni nel
gruppo Parmalat. Forse la magistratura (che manda la finanza in giro)
e' un po' strabica? Non era meglio che distribuivano i controlli in
modo meno partigiano?
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Bruno wrote:
< Volevo complimentarmi per lo stile al contempo serio, iconoclasta e
sbellicante di questa e-zine. Lo faccio pero' cogliendo l'occasione per
una rettifica: "Mangino delle brioches" non lo disse "un" tale, ma
"una" tale. La regina Maria-Antonietta, incurante e sprezzante del
popolo francese affamato ed imbufalito >
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Sandro wrote:
< per favore sciogli il mio anello della catena. i tuoi scritti sono
lunghi ed a mio avviso disarticolati. la ricevo ma poi non ho tempo ne'
voglia per leggerla tutta con un' attenzione che che non riesco a
riconoscergli >
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Federico wrote:
< E' vero, come diceva qualcuno in questa email, che parlare non basta.
Che bisogna "fare". Dostoevskji diceva una cosa del tipo: "l'eccesso di
consapevolezza fa rimanere a braccia conserte". Ma. Ma parlando con
molti amici, conoscenti, nemici e parenti, ho il timore che questa
massima vada riaggiornata, con buona pace del massimo romanziere.
Parlando con loro insomma ho l'impressione netta e poco rassicurante
che parlare - si badi bene: dopo essersi formati almeno un'idea - non
sia per nulla da poco, oggi. Perche' costoro neanche piu' questo sanno,
o vogliono, "fare". Tanto le cose vanno come vanno e noi siamo troppo
piccoli per cambiarle. E se insisti a voler discutere e scambiare
opinioni, ti dicono che vuoi mostrarti a tutti i costi "diverso".
Ebbene, caro Sanlibero, e' vero. Mi ci sento, diverso. Mio fottutissimo
malgrado. Perche' pago le tasse fino all'ultimo baiocco e non riesco a
farmi una vacanza se non ospite da amici. Perche' non accetto lavori in
nero. Perche' non scendo a compromessi professionali. Manco per niente.
Perche' mi tocca sentirmi dire: "ti stai facendo terra bruciata ad
incazzarti ogni volta che ti si vogliono inculare". Perche' ho scelto,
con l'enorme fatica di portarlo avanti, un lavoro indipendente e per
nulla sicuro - ma in cui credo profondamente - senza avere le spalle
coperte. E dunque un tenore di vita ridotto all'osso. Perche' credo che
l'individualismo collettivo sia la migliore arma contro la
collettivizzazione ideologica. Colgo l'occasione per dirti che da
quando ti leggo le palle mi girano di piu', ma in una direzione sempre
piu' precisa. E la cosa mi preoccupa: che mi veda costretto, un giorno,
a "fare" qualcosa oltre che semplicemente parlare? Con "sereno impeto"
e un luminoso grazie >
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AntonellaConsoli <libera@libera.it> wrote:

Vorrei che tutto questo ti parlasse

< Vorrei che tutto questo
ti parlasse
con la sommessa consuetudine
del tuo cuore
Vorrei starti accanto
come cio' che hai visto e sentito
t'ha seguito meravigliato
ascoltandoti e ridendo
a ogni tua magagna >
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(*) Attenzione: causa guasto computer, ho perso tutta le lettere
ricevute dal 26 febbraio in poi. Prego tutti coloro che mi hanno
scritto dopo quella data di riscrivermi.

(**) La "Catena di San Libero" e' una e-zine gratuita, indipendente e
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Fava)
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